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Le signore del vino

Oltre 30 anni fa Elena Walch è diventata la prima viticoltrice dell’Alto Adige. E per molto tempo è stata anche l’unica. Ora, al suo fianco, sono scese in campo le figlie Julia e Karoline.

La carriera di Elena Walch è iniziata nei panni di architetto. È stato nel 1985 che ha iniziato a produrre vini in Alto Adige, prima donna a fare capolino fra le pagine della lunga tradizione enologica di questa terra. E lo ha fatto dando una svolta radicale a quella che, fino ad allora, era stata la sua carriera, seguendo approcci nuovi per l’epoca. Per esempio separando, nel processo di vinificazione, le uve provenienti dai suoi vigneti delle tenute di Castel Ringberg e di Kastelaz, creando i “vini di terroir”, eliminando il classico vitigno di Schiava a favore di varietà più moderne, e scegliendo di ridurre la quantità del raccolto a favore della qualità.

Inizialmente molti colleghi viticoltori la guardavano scuotendo la testa. Ma, ben presto, il successo riscosso a livello internazionale dai suoi vini ha dimostrato che le scelte intraprese fossero quelle giuste. E lo conferma anche il fatto che l’azienda vinicola che porta il suo nome fa parte, ormai da molto tempo, dell’élite del panorama enologico italiano. Dal 2013, al suo fianco, ci sono anche le figlie Julia e Karoline.

Ma com’è stato per Elena Walch, 30 anni fa, essere l’unica donna in un mondo di uomini, e quali sono i progetti delle figlie? Lo abbiamo chiesto direttamente a loro, in un incontro a Castel Ringberg, a Caldaro.

Nuove strade

Signora Walch, quando ha preso in mano l’azienda vinicola ha cambiato diverse cose. Un’inversione di rotta rispetto a quella che, per generazioni, era stata la tradizione. Com’è andata esattamente?

Elena: I primi tempi ho dovuto lottare, ma ho cercato di calarmi subito nella parte e di trovare la mia strada. Un aspetto sotto il quale le mie figlie sapranno fare meglio di me, perché in materia di vini hanno anche una formazione specifica. La mia, invece, è stato in un ambito completamente diverso, ossia in architettura, il che ha fatto sì che avessi una comprensione logica del mondo. Ma il contesto nel quale ero immersa, quando ho iniziato a occuparmi di vini, mi è stato molto d’aiuto. La famiglia di mio marito lavora nel settore vinicolo da molte generazioni, e ho sempre avuto il pieno appoggio da parte sua. Ma le linee guida da seguire le ho fissate io, e su questo punto sono stata irremovibile.

Karoline: Sei stata soprattutto una outsider, una pioniera in Alto Adige. Hai portato nuove idee nel settore, come il modo di pensare “a terroir”. Come dici sempre, per prosperare il vigneto aveva bisogno di una sferzata di novità. Era importante mettere il focus sulla provenienza e sui singoli siti di coltivazione di ciascun vitigno.

Elena: È un peccato non sapere da dove proviene un vino! Ne sono convinta, e, da questo punto di vista, ho dovuto convincere mio marito a investire molto. Gli ho detto: “Guarda, abbiamo degli splendidi vigneti che però non sono ancora ai massimi livelli. Affidali a me e farò del mio meglio”. Forse il fatto di provenire da un altro settore e di ritrovarmi a svolgere un’attività del tutto nuova è stato un bene. Mi sembrava di essere nel bel mezzo di una fiaba, con un castello al centro di una tenuta che ho avvertito la necessità di prendere in mano. E di cambiare qualcosa. In passato tutte le uve venivano lavorate assieme, al che ho pensato: l’uva di Castel Ringberg dovrebbe essere trattata in modo specifico, e allo stesso modo quella di Kastelaz.

Sapere da dove proviene un vino è sempre più importante per i consumatori. È vero?

Karoline: Sì, esatto. Anche noi, azienda a conduzione famigliare, abbiamo sempre dato molta importanza al vigneto di origine dei grappoli, vinificandoli separatamente. E per dimostrare che i nostri vini siano realmente prodotti, ciascuno, con un’unica varietà di uve, abbiamo due “vigna”, e cioè Castel Ringberg e Katelaz. Una classificazione che ne certifica la provenienza.

Julia: Oggi gli estimatori vogliono conoscere la provenienza di un vino, soprattutto quando si tratta di prodotti di alta qualità. È da qui che nasce l’idea del “vineyard style”, un metodo di coltivazione che suggerisce di ragionare in termini di: questo è il mio vigneto migliore, con il quale produco il mio vino migliore. Motivo per cui il numero di bottiglie è limitato, come limitata è, naturalmente, anche la superficie di coltivazione. 

Karoline: L’Alto Adige è sempre più conosciuto come terra di vini. Ma al tempo stesso non bisogna dimenticare che siamo una delle regioni vinicole più piccole di tutto il Paese, tanto che deteniamo meno dell’1% della produzione complessiva. Quindi se, in Texas, incontrassi un sommelier amante dell’Alto Adige, avrei delle ottime ragioni per essere orgogliosa. 

Vostra madre ha riscosso un successo internazionale negli anni, e lo ha dimostrato. Karoline e Julia, è stato un peso, in qualche modo?

Julia: No, proprio no. Da nostra madre c’è solo da imparare.

Elena: Oh, mi fa piacere sentirlo! (ride)

Julia: Abbiamo imparato l’importanza di affermarsi e seguire la propria strada. In Germania, per esempio, sento ancora dire, da parte dei ristoratori: “Sì, la signora Walch è stata qui 25 anni fa. Me la ricordo bene”. Nostra madre è stata davvero una delle prime ad andare di persona nei ristoranti, senza appoggiarsi a intermediari.

Karoline: È vero, la gente si ricorda di lei. Nel bene e nel male. È stata ostinata e ha dato sui nervi a diverse persone…

Elena (ride): Semplicemente non me ne sono mai andata prima che avessero degustato un vino insieme a me. 

Karoline: E io credo che, a quel tempo, molte persone fossero perplesse per il fatto che una donna sedesse allo stesso tavolo di un mondo di uomini.

Pioniera nel mondo della viticultura

Lei è stata la prima viticoltrice dell’Alto Adige e, al tempo, anche una delle poche donne nel settore dei vini. Com’è stato?

Elena: All’inizio mi guardavano tutti in maniera molto scettica e mi chiedevano: “Dov’è suo marito?” Al che rispondevo: “Qui ci sono io, sto io dietro ai miei vini”. Alla fine ho guardato a questa situazione come a una sfida e ho cominciato ad apprezzare il fatto di stare da sola in mezzo a tutti quegli uomini. Nonostante lo scetticismo iniziale, sono stata ben presto accettata e accolta. Sono dell’idea che la questione femminile non dovrebbe avere più così tanto rilievo. Ciò che conta è la qualità, indipendentemente dal fatto che un vino sia stato prodotto da una donna o da un uomo. Ad aiutarmi nella produzione c’è un enologo, un uomo. Io, o meglio, le ragazze gli dicono cosa crediamo sia importante o quale sensazione il vino dovrebbe suscitare in chi lo beve, e poi lui cerca di interpretare le nostre indicazioni. Forse il fatto di essere donne ci è stato d’aiuto nel marketing, perché sappiamo comunicare in maniera più emotiva rispetto agli uomini che, invece, sono molto più tecnici. E il vino è un prodotto che ha a che fare molto più con il sentimento e il piacere. Non è un bullone.

Julia e Karoline, quali cambiamenti ci sono stati in azienda da quando avete iniziato a lavorarci anche voi?

Karoline: Beh, ci siamo trovate in un “nido già fatto”, o quasi. Ma poi ci siamo poste la domanda: cosa si potrebbe migliorare? Io penso ci sia sempre molto da fare, soprattutto nel settore dei vini. Per esempio per quanto riguarda il lavoro sostenibile. Dobbiamo concentrarci sempre più sul terreno nel quale i vigneti crescono, perché sono le sue proprietà che determinano certe caratteristiche del vino. Seguendo questo principio, e affidandoci alla forza di gravità, usiamo piccole botti nella nuova cantina di fermentazione, in modo da poter intervenire in maniera differenziata sulle diverse annate.

Julia: I vini sono eccellenti, ma dovrebbero migliorare sempre più. Oggi i vigneti vengono coltivati a quote sempre più alte, fino a 1.000 metri. E si rendono necessarie molte ricerche, anche per quel che riguarda i cambiamenti climatici. 

Elena, sembra che le sue figlie abbiano la situazione perfettamente sotto controllo. Cosa prova nel vederle portare avanti l’azienda a modo loro?

Elena: Devo riconoscere che hanno molta più calma ed equilibrio di me. Io sono sempre stata un po’ nervosa.

Karoline: Penso che il lavoro, oggi, sia molto diverso da com’era ai tempi della mamma. Lei ha dovuto costruire tutto da zero. Noi, ora, dobbiamo prendere quello che ha fatto lei e portarlo avanti con successo, imprimendogli il nostro accento.

Elena: Produciamo vini per gli estimatori, che cercano qualcosa di particolare, indipendentemente da dove si trovano. Un obiettivo che mi ero posta fin dall’inizio. Ora, però, vedo che c’è meno bisogno di me, che le mie figlie camminano sicure sulle proprie gambe. Quando mi guardo indietro sono orgogliosa e soddisfatta per quello che ho fatto. Ma credo che passare nelle mani di una nuova generazione appassionata è quel che di meglio potrebbe capitare a un’azienda. Il futuro è nelle mani delle ragazze. E sono proprio ottime mani!

Intervista: Marlene Lobis & Elisabeth Stampfer

Adattamento in italiano: Chiara Currò Dossi

Foto: Ivo Corrà

Video: Ebner Film

Pubblicazione: 2019

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