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Il paese sommerso

A Curon un campanile solitario svetta in mezzo a un lago azzurro. Gli abitanti giurano che nelle giornate più ventose si sentano ancora  le campane suonare. Ormai è passato più di mezzo secolo ma gli occhi di Theresa Theiner si velano ancora di tristezza quando racconta la storia di Sultan...

Sultan era il San Bernardo della famiglia Theiner. Come molti cani, anche lui aveva il suo posticino preferito, da cui con distanza poteva osservare le attività degli uomini: Sultan amava stare sotto il tavolo della cucina della locanda Traube Post. I genitori di Theresa gestivano l’hotel nel centro del paesino di Curon. Finché l’hotel, esattamente come tutte le altre abitazioni del comune, non è stato sommerso.

A quel punto Theresa, le sue tre sorelle e i suoi genitori erano già stati trasferiti. Solo Sultan non comprendeva perché il tavolo della cucina non c’era più. "Andava sul luogo dove una volta sorgeva la casa e cercava il tavolo", racconta Theresa Theiner, "quando poi tutto fu tutto inondato, andava fino a lì nuotando e dovevamo riportarlo a casa in barca". Nella nuova abitazione il cane non trovava nessun altro posto che fosse confortevole come sotto il tavolo della cucina. Si rifiutava persino di salire le scale della nuova casa. Nessuno a Curon, sia uomini che animali, riusciva ad abituarsi alla perdita subita. "Alcuni tra i più anziani sono morti per il dolore", dice Theresa.

Theresa aveva diciotto anni quando Curon venne sommerso. La singolarità di quel giorno ha impresso indelebilmente i ricordi degli abitanti quasi come dei ricordi di guerra. Come il giorno in cui le cantina erano così piena d’acqua che fu necessario stendere delle assi per poter raggiungere le botti di vino. Oppure come quando la famiglia di Theresa in una settimana fu costretta a caricare tutti i propri oggetti di valore su un furgone per poterli salvare.

Emigranti in casa propria

A distanza di cinque anni dalla fine della seconda guerra mondiale in un piccolo comune nel bel mezzo dell’Europa dominavano condizioni simili a quelle belliche. In un angolino tra Svizzera, Austria e Italia la popolazione di un intero comune venne spodestata, le loro case distrutte. In un attimo il paesino di Curon non c’era più. Lo Stato aveva deciso di erigere una diga, proprio nel punto in cui sorgeva il paesino, per produrre energia elettrica per il nord Italia. I laghi naturali di Curon e di Resia vennero riuniti in un unico grande lago. Campi, strade, masi…tutto portato via. Solo il campanile romanico di Curon è sopravvissuto. La torre oggi è ancora lì, si erge nell’acqua azzurra ed è forse la costruzione più ironica dell’Alto Adige, al contempo tragica e comica.

La maggior parte dei cittadini di Curon sono stati costretti a emigrare. Solo poche famiglie hanno potuto ricrearsi una nuova vita a poca distanza dal lago. Curon non rappresenta soltanto il dramma di un paesino sommerso, è molto di più: nella sua storia si riflette quella di tutto l’Alto Adige, una terra ricca di contrasti, palme e ghiacciai, vecchio e nuovo, italiano e tedesco. Eppure da nessun’altra parte questi contrasti sono così forti come qui.

Oggi ritroviamo Theresa Theiner, a settantotto anni, nella stube della locanda dell’hotel Traube Post - lo stesso hotel che i genitori hanno costruito dopo che il paese è stato inondato e che lei stessa ha gestito fino a poco tempo fa. Theresa porta una parure in abbinamento al suo pullover azzurro. Sa bene quanto conti l’apparenza nell’ambiente dell’ospitalità. Gli affari vanno bene. Escursionisti e gruppi di motociclisti passano di qua continuamente.

Già il bisnonno di Theresa gestiva la locanda, in seguito passata a suo figlio. La tradizione alberghiera della famiglia non è stata interrotta dalla diga, sebbene l’inondazione abbia comunque segnato il loro rapporto con il territorio.

 

Ricordi devastanti

Sessant’anni dopo l’inondazione, nell’ottobre del 2010, gli abitanti di Curon hanno voluto ricordare la scomparsa del loro paesino. Si è tenuta una commemorazione ed è stata inaugurata una mostra. Per gli anziani è importante trasmettere la loro storia ai più giovani. La diga è stata però costruita molto tempo fa e i giovani non vogliono ereditare le beffe del destino che affliggono i loro nonni. E preferiscono andar via da Curon, un luogo con ben poche prospettive e un passato devastato.
Nel nord della Val Venosta la vita è molto dura. Il vento, che soffia costantemente attraverso il passo, rende gli alberi storti e adunchi. Oggi Curon ha solo quattrocento abitanti. Ci si conosce tutti, tanto che si dice che ci si veda attraverso i muri. La maggior parte degli abitanti possiede un maso, bovini e un pezzo di terra – ma questo non basta più per vivere. Alcuni, in aggiunta, lavorano in Svizzera, dove c’è più lavoro, oppure in inverno nelle stazioni sciistiche.

Quando i contadini capirono che presto avrebbero perso ogni cosa, organizzarono una protesta. Colpirono le auto degli ingegneri coinvolti nella costruzione della diga. "Solo quando giunsero i carabinieri con le pistole, ci siamo fatti da parte", dice Alois Prieth, che allora era solo un quattordicenne. Neanche quello bastò. Nel 1949 gli argini vennero sbarrati. Le case che si trovavano al margine della diga d’innalzamento vennero abbattute dalla ditta Montecatini. A poco a poco, innalzandosi il livello dell’acqua, il paese di Curon scomparve. Gli abitanti osservavano tutto, impotenti, dalle baracche costruite in via provvisoria per loro dalla Montecatini. Le famiglie hanno ricevuto degli indennizzi assolutamente insufficienti per poter riprendere le loro vite così com’erano. "Siamo stati defraudati", dice Alois Prieth. Ogni sguardo su quell’acqua risveglia rabbia e sofferenza. Gli abitanti che si sono stabiliti nella nuova Curon da allora hanno sempre considerato il lago come un invasore appena fuori alle loro porte.

(Accadeva) ieri

Negli anni '40 a Curon si sospettava l’inondazione, ma si supponeva che il livello del lago venisse innalzato di soli cinque metri. Parti del paese sarebbero così rimaste intatte. Nel 1940 venne affisso un ordine del Genio civile di Bolzano. Vi era indicato il nuovo livello della diga: 22 metri. In paese non si levò alcuna obiezione. Non per disinteresse, piuttosto perché era scritto tutto in lingua italiana, che a quei tempi a Curon nessuno era in grado di parlare. Il Genio civile riebbe il suo pezzo di carta e una ditta di Milano, la Montecatini s.p.a., vinse la gara d’appalto. I preparativi iniziarono subito.

(Accade) oggi

Come va oggi a Curon? Una domanda adatta al ex sindaco Heinrich Noggler, soprannominato il re del paesino. Durante una passeggiata lungo le rive del lago gesticola agitando una mano in aria, mentre con l’altra stringe il proprio cellulare. "Il lago è un dato di fatto, di certo non andrà via", dice, "per cui dobbiamo trarne il meglio che possiamo". Heinrich Noggler vuole portare più turismo al lago e al contempo pacificare i cittadini con le acque da cui sono circondati. Il compito non è di certo facile.

In inverno il lago di Resia gela. E d’estate con appena quattordici gradi non è un paradiso per i bagnanti. Perlomeno da un paio di anni è meta dei migliori kite-surfer d’Europa. Il vento è perfetto per questo sport. È persino nata una piccola scuola di kite-surf. "Il mio sogno sarebbe una scuola di vela", afferma Heinrich Noggler. Finora purtroppo c’è solo un locale che possiede una barca a vela sul lago. Si tratta dell’architetto di Curon, che tra l’altro non è originario di queste zone. Con orgoglio allunga il braccio, indicando l’orizzonte del lago. "Quest’anno abbiamo colmato parte della baia e riguadagnato terreno", dice. A poco a poco Norggler vuole riprendersi il territorio sommerso. Dieci anni fa la comunità ha ottenuto delle partecipazioni ai profitti ottenuti attraverso la corrente elettrica prodotta dalla diga. Secondo Noggler si tratta di una sorta di risarcimento per danni morali.

Theresa Theiner, ex direttrice dell’hotel Traube Post, non è così agguerrita. Negli anni ha imparato ad accettare il lago. "Oggi appare bellissimo", dice dondolando il capo. Ci spingiamo oltre, e le chiediamo se ha voglia di fare una foto sul lago. Theresa Theiner ci pensa e poi annuisce. Mentre andiamo racconta di nuovo del San Bernardo Sultan. Per lui non c’è stato un lieto fine. Si ammalò e furono costretti a sopprimerlo. Facciamo la foto in riva al lago e mentre torniamo Theresa si rende conto che negli ultimi sessant’anni non era mai stata così vicina al lago. La riva è a meno di trecento passi da casa sua.

Testo: Lukas Eberle
Tradotto e adattato da un reportage del "Premio Media Alto Adige 2010"
Traduzione: Dora Vannetiello
Immagini: Jakob Hoff
Pubblicazione: 2014

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