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Il contadino

Reinhold Messner, con l’aiuto della figlia Magdalena, gestisce sei musei e un maso autosufficiente.

Incontro Reinhold Messner al campo base. No, non sono certo salita sull’Himalaya e non sono nemmeno andata in Patagonia. Mi trovo a Castel Firmiano, a Bolzano. Questo è il suo campo base dal 2006. Da qui Reinhold Messner amministra i suoi sei musei, dando atto a tutta la sua creatività. Stringo la sua mano destra, la stessa mano con cui ha conquistato tutti e 14 gli ottomila della Terra. Penso immediatamente a tutte le rocce che ha scalato, alla meraviglia del mondo visto da lassù, a tutti i paesaggi solitari che ha attraversato. Che emozione. Ma non è di questo che parleremo oggi. Le sue imprese sono cosa nota. Oggi desidero conoscere meglio un altro lato di questa straordinaria persona.

Il suo lato più autentico, forse. 

Nel 1983 ha acquistato Castel Juval. Desiderava condurre una vita da contadino autosufficiente?

Reinhold Messner. Vivere in modo autosufficiente è sempre stato essenziale per me. Non è certo un modello che ho inventato io. Desideravo realizzare a Juval un maso autosufficiente perché io sono cresciuto vivendo questo mondo. Mi ha sempre entusiasmato. Di tanto in tanto oggi vengono organizzate a Juval delle “vacanze al maso”, ma se dovesse mai arrivare una carestia, il maso potrebbe tranquillamente garantire la sopravvivenza dei gestori e di tutta la mia famiglia allargata. Contando i miei fratelli, le loro mogli e i loro figli, siamo una cinquantina di persone. In passato, la vita era così. In un grande maso vivevano insieme più generazioni e avevano tutto il necessario per sopravvivere: cereali, frutta, verdura, latte, carne e legna. Certo, sono consapevole, oggi quella del maso autosufficiente è un’idea un po’ utopistica…

Sulla Sua tavola quindi non manca mai un pezzo di Juval?

(Ride). È così. Ad esempio carne di yak e speck. Devo ammettere che mia moglie è molto brava. Prende tutto ciò che le è utile dal maso di Juval. Fa marmellate e conserve di verdure. Trascorriamo spesso i mesi estivi a Juval, così possiamo avere in tavola sempre qualcosa di buono. E gli stessi prodotti vengono ovviamente serviti anche agli ospiti della trattoria. 

È riuscito a realizzare il suo desiderio. Oggi oltre al castello, residenza di famiglia, a Juval sono operativi un’azienda agricola e un maso. I gestori pagano l’affitto?

No. Mi pagano con i prodotti della terra. Va bene così. Non mi serve un’entrata economica dai masi, desidero piuttosto che funzionino bene. Dall’azienda agricola Unterortl ad esempio riceviamo il vino, un ottimo vino regolarmente premiato anche da Gambero Rosso. È giusto che i contadini siano liberi di decidere cosa coltivare e abbiano la loro libertà. Chiedo solo che tengano un certo numero di animali, che falcino il prato e che si prendano cura del paesaggio. Desidero che venga tramandata la cultura contadina altoatesina.

Il suo habitat ideale è sempre stato la montagna. Si sente più alpinista o contadino?

Oggi per me è più naturale definirmi contadino di montagna, piuttosto che alpinista. Anche se non vivo quotidianamente la vita contadina. Non spacco la legna, mi manca il tempo e sto invecchiando, ma mi sento contadino. Sono sempre stato legato al mondo rurale e ho a cuore le problematiche dei contadini. Il costo del latte ad esempio, è un tema che mi tiene molto occupato. Se scendesse sotto i 40 centesimi al litro, gli allevatori altoatesini non potrebbero più sopravvivere nei loro masi. 

Lo ripete spesso: i contadini sono fondamentali per la nostra terra.

Assolutamente. Con il popolamento delle aree montane, l’uomo ha guadagnato un importante tesoro e lo deve tutelare. Non importa che sfrutti la montagna per realizzare una pista da sci o per ricavare la legna dei boschi. I contadini devono poter lavorare e devono essere sostenuti. Lo sfruttamento del territorio montano deve essere visto come qualcosa di positivo, non come un atto di distruzione. 

Castel Juval e Reinhold Messner, sembrate fatti l’uno per l’altro. Come è avvenuta la scelta di questo luogo?

Ho iniziato la mia ricerca già nel 1978. Volevo comprare un maso in Val di Funes, dove sono nato, ma non ci sono riuscito. Ho guardato molti luoghi. Anche un casello in Val Venosta che però era fuori dalla mia portata economica. E proprio mentre rientravo dalla visita di quel castello, ho visto Juval. Sono sceso dalla macchina e ho fermato un passante. “Cos’è quello lassù” ho chiesto incuriosto. “Ah, nulla di interessante” mi ha risposto.

E proprio questa risposta immagino l’abbia spinta a proseguire…

Probabilmente si. Ho iniziato a salire, ad un certo punto la strada non era più percorribile in macchina. Sono sceso e ho proseguito a piedi. Sono entrato passando attraverso un buco nel muro. Le finestre erano tutte sprangate, il pavimento era coperto di erbacce. Guardai fuori e vidi nel cortile dei cedri dell’ Himalaya. Per me fu tutto immediatamente chiaro.

Sono completamente catturata dal suo racconto. Reinhold Messner riuscì ad acquistare il castello. Il proprietario, di cui non vuole sverlarmi il nome, desiderava che la tenuta fosse presa in mano da un altoatesino. E da qualcuno capace di rivalorizzarlo. Oltre al castello, gli offrì dopo qualche anno anche i masi adiacenti. Messner non aveva nemmeno 40 anni, ma le spedizioni cominciavano a diminuire e la consapevolezza continuava ad aumentare. 

A Juval nel 1995 nacque il Suo primo museo?

C’è stato prima una specie di “mercatino delle pulci”, un piccolo museo a Solda con una curiosa collezione. Poi è arrivato il museo di Juval. E non mi stanco di ripeterlo: non esiste in Alto Adige posto migliore. Juval è perfetto. E visto che il risanamento del castello è stato un vero successo, la politica mi ha dato fiducia e ho potuto realizzare un museo anche a Castel Firmiano. Qualcosa che nessuno aveva mai concretizzato prima. Juval mi ha dato il coraggio di continuare ad elaborare il tema della montagna. I rischi sono sempre molto elevati, ma è una grande soddisfazione riuscire a risanare un castello e farlo “rivivere”.

È molto determinato, mantiene salde le sue posizioni. È così che ha potuto raggiungere i suoi successi, nei diversi ambiti della sua vita. E le difficoltà non sono mancate e credo non manchino nemmeno oggi. “Le resistenze mi hanno fatto crescere” afferma durante la nostra chiacchierata. 

Non si è mai lasciato intimorire dalle resistenze? Ce ne sono state parecchie  in questi 25 anni, da quando ha iniziato ad aprire i Suoi musei…

Non ho nulla contro le resistenze. Le montagne sono resistenze. E devo anche ammettere che devo la grandezza dei miei musei anche proprio alle resistenze che ho incontrato. Cito Goethe: “Con le pietre che trovi sul tuo cammino, puoi costruire qualcosa di straordinario”. Quando ho comprato Juval, vi arrivavano 10 turisti all’anno. Oggi ne conto 50.000.

Nella sua vita ha fatto davvero molto. Grandi imprese. Quando si mette in testa di fare qualcosa, Reinhold Messner arriva sempre fino in fondo. E ce la fa. Piuttosto bene direi. Ha reso abitabile un castello ridotto in rovina, ha avviato con successo i masi annessi Oberortl e Unterortl. Ha risanato Castel Firmiano e il Castello di Brunico, sostiene attivamente i contadini della Val Venosta. Ha creato un ciclo museale di sei tappe. È un custode della tradizione ma allo stesso tempo anche un grande innovatore, lungimirante, determinato, autonomo. Ama raccontare storie, le sue storie. E scrive libri, “solo uno all’anno” mi dice con un po’ di rammarico.  Ha imparato a trovare e a seguire la sua strada, come alpinista e come contadino di montagna.

Ha un desiderio da esprimere Signor Messner?

La sua voce diventa morbida, trasmettere tutta la sua preoccupazione. Il suo desiderio di cultura si fonde con quello personale. “Mi auguro di cuore che mia figlia Magdalena possa continuare a sostenere i musei. E so che non è affatto facile mantenere in vita un museo” ammette.

Testo: Valentina Casale
Foto: Alex Filz
Video: Alexander Schiebel
Pubblicazione: 2016

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